La trappola dell’intimità moderna
Negli ultimi anni mi accorgo sempre più che il modo in cui viviamo l’intimità è cambiato radicalmente.
Oggi la relazione di coppia è diventata un territorio sovraccarico di richieste: dobbiamo dirci tutto, confessarci tutto, condividere ogni emozione, ogni pensiero, ogni dettaglio della giornata, come se la trasparenza totale fosse la misura della profondità del legame. Eppure, nonostante questa pressione a essere completamente “visibili” all’altro, molte coppie si sentono più distanti che mai.
Nel libro “Intelligenza erotica” di Esther Perel viene approfondita un’idea centrale e rivoluzionaria: nella cultura moderna abbiamo trasformato l’intimità in un obbligo, in un eccesso e talvolta in una forma di controllo.
Perel sfida la convinzione diffusa che:
“più parliamo, più siamo vicini”,
“più sappiamo dell’altro, più lo amiamo”,
“se non ci diciamo tutto, non siamo davvero intimi”.
In realtà, sostiene l’autrice, il troppo può diventare troppo.
Perel racconta che l’idea moderna di intimità — apertura totale, trasparenza, confessione — può diventare una caricatura.
Un esempio: Mary e Joseph, nel film “Al di là del desiderio”, mostrano come la “verità totale” può ferire e non sempre avvicinare. Mary confessa di fingere gli orgasmi: la verità è autentica, ma non necessariamente costruttiva.
A dimostrazione che:
La verità a tutti i costi non è sempre terapeutica.
La parola non è sempre il linguaggio migliore dell’intimità.
Conoscere tutto dell’altro e far conoscere tutto di sé non sempre favorisce l’intimità che cerchiamo.
A volte provoca distanza, dolore, o addirittura paralisi erotica.
Se spinto all’estremo, il mandato moderno all’intimità può diventare una forma di controllo.
Mi capita costantemente di osservare coppie in cui uno dei partner pretende l’ accesso illimitato ai pensieri dell’altro, chiede continue prove d’amore (“Dimostrami che mi ami”, “Devi ascoltarmi”) e vuole condividere tutto come diritto, non come scelta. Questo non è intimità: è intrusione, ingiunzione, controllo emotivo mascherato da vicinanza.
David Schnarch lo definisce “pressione reciproca”:
“Se io ti dico tutto, anche tu devi dirmi tutto”.
Ma nessuno desidera intimità in uno spazio dove non c’è più libero arbitrio. E così molte coppie confondono l’intimità con la sorveglianza quotidiana:
Questo avvicinamento è in realtà un’ansia travestita da premura.
Sapere tutto dell’altro non crea vicinanza: crea controllo.
Nella mia pratica clinica rimango piuttosto stupita da quante coppie conoscano dettagli minimi e, lasciatemelo dire inutili, della vita dell’altro senza però avere una vera intimità emotiva o erotica.
Ma in punto fondamentale è questo: l’erotismo ha bisogno di mistero, distanza, autonomia, zone inaccessibili e l’intimità spinta all’estremo uccide il desiderio.
Dunque quando non esiste più nulla da scoprire, quando tutto è detto, tutto è rivelato, tutto è condiviso…non resta più nulla da desiderare.
La fusione continua prende il posto del desiderio. La relazione diventa una “compagnia di sorveglianza reciproca”.
E in questo quadro, perfettamente disfunzionale, dimentichiamo il corpo.
Ritrovare un’intimità viva significa smettere di raccontare tutto e tornare a sentirci. Lasciare che il corpo dica ciò che le parole soffocano. Permetterci imperfezioni, margini, sbavature: perché è proprio lì, dove non siamo più impeccabili, che l’amore torna autentico. Un’intimità vera non chiede spiegazioni infinite ma presenza. Non controllo ma corpo. Ed è quando ci permettiamo di essere meno educati che il desiderio trova di nuovo la strada per raggiungerci.
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La trappola dell’intimità moderna
L’intimità moderna è diventata un territorio affollato di parole, richieste e aspettative: dobbi